I testi di Grafologia non concedono solitamente molto spazio all’analisi dei numeri.
Gli studiosi che se ne sono occupati sono partiti dal presupposto che, essendo i numeri la rappresentazione simbolica di valori materiali, la loro diversa costruzione grafica riveli le predisposizioni, più o meno marcate, ad attività di tipo commerciale.
Secondo il grafologo spagnolo Augusto Vels, autore di importanti opere, tra cui un ottimo “Dizionario di Grafologia”, i numeri scritti velocemente, ma ben formati, chiari e ordinati, rappresentano al meglio il senso commerciale e la facilità di calcolo numerico.
Numeri poco leggibili e poco strutturati, al punto di generare confusione tra loro, possono avere diversi significati: se la scrittura è dinamica e veloce appartengono a soggetti abili commercialmente, ma poco scrupolosi.
Se la scrittura è lenta e i numeri, in particolare, presentano frequenti ritocchi, il soggetto è (o si ritiene) inadeguato di fronte alle questioni pratiche e commerciali.
Un tracciato abitualmente “maldestro” dei numeri sembrerebbe essere comunque significativo di uno scarso senso degli affari e del denaro.
Numeri piccoli e tipografici segnalano attitudini scientifiche, mentre numeri semplificati ed estetici, ma senza rigidità né preoccupazioni “calligrafiche”, rivelano maggiore attenzione alla bellezza ed al valore artistico degli oggetti, che non al loro aspetto materiale.
La grafologa francese Roseline Crépy, recentemente scomparsa, aveva voluto invece andare molto oltre queste considerazioni, dedicando un ampio spazio allo studio dei cosiddetti “piccoli segni”, di cui i numeri fanno parte, insieme alla punteggiatura ed ai tracciati liberi.
Nei suoi libri si trovano alcune curiose annotazioni sul modo di scrivere la data: la cifra centrale, quella che indica il mese, è scritta molto più piccola rispetto a quella del giorno e dell’anno? Lo scrivente vive nel momento presente.
Il nome del mese viene scritto per esteso, anziché con il numero? Lo scrivente è un sensoriale.
Il mese viene scritto in numeri romani? Lo scrivente ha del rigore, e non è insensibile ad una certa valorizzazione di sé.
Manca il numero che indica l’anno? o scrivente difetta di una “visione d’insieme” … e via di questo passo.
Oltre ad avere enumerato una notevolissima casistica di possibili tracciamenti, questa interessante ricercatrice ha attribuito ai numeri un valore simbolico, che risente in maniera evidente dell’intrecciarsi di influssi diversi intorno al fascino di questi grandi “Archetipi dell’Ordine”, come Jung li aveva definiti.
In questa visione, sicuramente molto suggestiva, il numero uno rappresenterebbe l’identità , l’immagine di sé: molto positivo quando perde il filetto iniziale, e viene tracciato come una semplice e ferma asta verticale, indicativa, nella sua essenzialità e “solitudine”, di indipendenza e senso di responsabilità.
Il numero due rappresenta invece il contatto, la relazione: molto bello quando la testa iniziale ha la forma di una curva morbida e aperta, meno positivo l’arrotolamento detto “a conchiglia”, segno di egocentrismo.
Il numero tre è legato all’umore personale: le reazioni affettive saranno equilibrate e serene se le due curve che formano il numero sono morbide e di uguale dimensione, più tese e meno prevedibili se si presentano invece angolose e difformi.
Il numero quattro evoca il concetto di stabilità : molto bella, tra le numerosissime forme, quella tipografica con tratti finali incrociati, che unisce l’energia di Marte al rigore critico di Saturno.
Il numero cinque segna l’iniziativa personale: è definito “il numero più instabile ed insieme più reattivo di tutti”. Presenta, in effetti, un’infinità di sfaccettature, fino all’estrema semplificazione formale che lo rende simile ad una “S”, indice di grande capacità di adattamento, come tutti i segni “serpeggianti”.
Il numero sei è in relazione all’egocentrismo, il cui grado sarebbe proporzionale al rigonfiamento dell’occhiello di base.
Il numero sette esprime l’autoaffermazione, la persona “ideale” che si vorrebbe essere : la parte superiore simile a un “cappello” che sovrasta e domina può significare una sorta di idealizzazione di sé e della propria immagine.
Il numero otto è l’apertura al mondo: si muove infatti sulla scia dei quattro punti cardinali, secondo le scelte di vita di ciascuno di noi, e le sue modalità espressive sono incredibilmente numerose.
Il numero nove è in relazione all’adattamento: meglio se costruito in un unico tratto, perché la dissociazione occhiello-asta è significativa di una fragilità di fondo, o di una qualche conflittualità sulla possibilità di integrazione.
Ed infine, lo zero, il denaro, leggibile sulla falsariga della lettera “o”, lettera “orale” per eccellenza, collegata all’idea del nutrimento.
Dello zero è significativa soprattutto la dimensione, secondo il presupposto per cui numeri ingranditi, o rimpiccioliti, rispetto alla scrittura estesa, hanno lo stesso valore delle “parole affettive”.
Viene chiamata “affettiva” quella parola che, all’interno di un testo, risulta evidentemente più grande, o più piccola, rispetto alle altre: risponde ad un inconscio moto emotivo nei confronti del significato della parola stessa, che assume un diverso rilievo e una diversa dimensione a seconda del potere evocativo esercitato sulla memoria e sulla sensibilità di chi scrive.
Questo approccio simbolico, agli occhi di molti studiosi di Grafologia classica apparso un tantino sconcertante, riveste comunque un certo interesse anche dal punto di vista tecnico.
Prende in considerazione infatti un vero e proprio “universo” grafico, quello dei “piccoli segni”, abitualmente un po’ negletto e sottovalutato nelle analisi di personalità, e che riveste invece un’importanza enorme in Grafologia Giudiziaria.
“Dal punto di vista delle proiezioni – ci ricorda Roseline Crépy – i numeri non sfuggono alla regola che vuole che l’Inconscio si esprima al meglio nelle aree secondarie, là dove la consapevolezza è meno vigile. Per esempio, quando si tratta di analizzare delle lettere anonime, il Grafologo ha talvolta la fortuna di poter sciogliere i suoi dubbi, di fronte a due scritti dissimili, grazie alle somiglianze dei numeri.”
Marisa Paschero
Tratto dal cap. 8 del libro “LO SCARABOCCHIO. Il tratto ’unione fra noi e il nostro inconscio” Ed. Amrita 2018
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