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“ Lo scarabocchio: il tratto d’unione fra noi e il nostro inconscio.”
di Marisa Paschero
Ecco uno scenario noto a molti tra noi: siamo al telefono e, nel frattempo, quasi sovrappensiero, la nostra mano giocherella con la biro e scarabocchia, su un foglietto lì accanto, con la prima penna a portata di mano: fiori, cuoricini, cerchi, spirali prendono forma sotto il nostro sguardo distratto. Se impariamo a farci caso, queste
forme parlano di noi e del nostro momento, delle nostre aspirazioni o frustrazioni, e ci connettono direttamente col nostro inconscio …
recensione di Daniela Muggia, 28 Febbraio 2018
Dopo decenni di acquisizione di consapevolezza, siamo ormai tutti d’accordo su una cosa: il nostro inconscio è una sorta di scrigno che racchiude tesori preziosissimi.
Conoscenze e potenzialità di ogni genere se ne stanno celate nelle sue profondità, e se solo ne possedessimo la chiave avremmo a disposizione una straordinaria ricchezza da investire per la nostra salute, il nostro equilibrio e la nostra realizzazione personale.
Ma questa chiave non è sempre facile da trovare.
C’è chi ci prova passando attraverso la decrittazione dei sintomi corporei (si vedano la scuola Ascolta il tuo corpo di Lise Bourbeau, la Metamedicina di Claudia Rainville, o la Decodifica biologica delle malattie di Christian Flèche); chi porta alla luce una sorta di codice, di tastiera segreta, sulla nostra pelle (come la mappa delle placche cutanee studiata dalla Dermoriflessologia) o impara a leggere i segnali che espressioni facciali e postura emettono scavalcando la sorveglianza del pensiero razionale. Tutti canali, linguaggi, attraverso i quali l’inconscio è in grado di far trapelare messaggi, avvertimenti, richieste e anche di ricevere a sua volta impulsi e suggerimenti, stabilendo una vera e propria comunicazione con il nostro io cosciente.
Qualche volta, però, le soluzioni più semplici sono proprio quelle che non vediamo, pur avendole sotto gli occhi chissà quanto spesso.
Proviamo a visualizzare uno scenario comune a moltissimi di noi: siamo al telefono con un amico che ci sta parlando di qualcosa di impegnativo; dobbiamo mantenere l’attenzione su quello che ci sta dicendo, così dedichiamo all’ascolto cosciente delle sue parole tutte le energie che possiamo.
E nel frattempo, nel novanta per cento dei casi, cosa ci scopriamo a fare, invece, soprappensiero?
Proprio così: scarabocchiare su un foglietto lì accanto, con la prima penna o matita a portata di mano.
Questo scarabocchio scaturisce direttamente dal nostro inconscio.
Spogliato della nostra coscienza lucida (che è impegnata a star dietro alle parole del nostro amico), esprime qualcosa che ci viene da dentro e che non incontra filtri o censure fra sé e il foglio.
L’errore che commettiamo ogni volta è quello, a fine telefonata, di non degnare più di uno sguardo, o magari addirittura buttare, il foglietto scarabocchiato in questione, senza accorgerci che è come stracciare una lettera che ci viene dalla parte più intima e nascosta di noi, la più ricca di informazioni su noi stessi; quella che magari, due minuti dopo, andiamo a cercare di far parlare con una seduta dal nostro analista o dal nostro psicosomatologo di fiducia.
Fortunatamente, oggi una professionista abituata ad “ascoltare” i messaggi dei tratti delle nostre penne ci blocca la mano prima che accartocciamo il foglietto e ci accompagna a decifrarne i messaggi grazie al suo brillante libro “Lo scarabocchio. Il tratto d’unione fra noi e il nostro inconscio” (Edizioni Amrita, gennaio 2018).
Marisa Paschero è una grafologa con esperienza ventennale.
Uno dei suoi principali interessi è il linguaggio dei simboli, dunque è naturale che da lei ci venga l’invito a far caso a che cosa la nostra mano abbia scelto di disegnare sul nostro foglietto.
Perché non basta decidere di farci attenzione (cosa che pure rappresenta già un passo avanti): bisogna anche sapere come decifrare i simboli e i segni che ci troviamo di fronte.
Alcuni sono intuitivi, altri meno: se avere riempito i margini di un libro di cuoricini o di fiori può rispecchiare abbastanza facilmente uno slancio d’amore, di trasporto emotivo, magari di felicità, più interessante diventa notare di aver disegnato degli incroci di rette simili a grate, e renderci conto di colpo di avere provato per tutto il tempo della telefonata una sensazione di prigionia, di incapacità di espressione.
Oppure, poniamo di accorgerci di avere scarabocchiato scacchiere: forse può tornarci utile scoprire che possono essere un simbolo di chiarezza di intenti e di determinazione (poniamo ad esempio che il nostro amico stia attraversando una situazione molto delicata e ci abbia chiesto un consiglio: se esitiamo, ma ci cade l’occhio sulla scacchiera che abbiamo appena disegnato, magari possiamo trarne l’informazione che, sì, dentro di noi forse sapremmo cosa suggerirgli con più chiarezza di quanta ne stiamo manifestando…).
E trovarci a una riunione di lavoro e notare che il nostro capo, seduto accanto a noi, ha riempito il suo blocco di disegnini di alberi – e non di alberi qualsiasi, ma di alberi con la chioma a festone, per usare un termine tecnico che si presenta anche in grafologia –, può farci sorgere verso il nostro futuro professionale delle previsioni di… be’, non lo diremo qui, per non guastare il piacere della lettura del libro!
Scherzi a parte (che però non sono fuori luogo: questo libro, pienissimo di esempi di scarabocchi d’autore, è estremamente giocoso e piacevole da sfogliare), il discorso si fa ancora più avvincente quando scopriamo che il linguaggio dello scarabocchio si espande molto oltre il cosa abbiamo disegnato, e abbraccia i moltissimi aspetti del come: la pressione o lo spessore della linea, l’uso dello spazio a disposizione, il fatto che il tratto sia stato ripassato o meno, e moltissimi altri dettagli che parlano tutti alle orecchie di chi li sa ascoltare. Il nostro innocuo scarabocchio diventa così una sorta di spartito, perché, proprio come una nota su un pentagramma convoglia nella sua semplicità grafica una tonnellata di informazioni (la sua altezza, la sua durata, la sua relazione con il tempo del brano e le altre note…), così il nostro scarabocchio, visto come un insieme di tratto, simbolo, collocazione, frequenza e così via, diventa il portatore di una miriade di informazioni sullo stato del nostro inconscio in un determinato momento.
Naturalmente, ci ammonisce Marisa, “i simboli hanno sempre molteplici interpretazioni”, e non è saggio stabilire delle relazioni rigide fra un dato simbolo o tratto e un’unica possibile lettura.
Ma le chiavi che questo libro ci offre sono illuminanti e cariche di ispirazione, e ci aprono, più che porte, interi orizzonti interiori.
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